Advertising, Graphic design
Etica e comunicazione
I temi ai margini dei canali quotidiani della comunicazione acquistano una nuova centralità. E anche tra i progettisti della comunicazione visiva la riflessione prende corpo nella creazione di strumenti e di occasioni di confronto che cercano una propria visibilità, partecipando al dibattito che investe le culture occidentali e i sistemi di produzione-consumo che le rappresentano.
Nel 1999 una serie di progettisti dà alle stampe il manifesto First Things First (Prima le priorità), nel quale si propone “un rovesciamento delle priorità a favore di forme di comunicazione più utili, più durevoli e più democratiche”, in sostanza, affermano i firmatari, la professione del graphic designer si è fortemente spostata sulle problematiche inerenti al mercato delle merci; dimenticando la grandezza delle sfide (ambientali, sociali, culturali) che si propongono all’attuale società. Trentadue i firmatari, fra i quali maestri celebrati come , personaggi come Rudy Vanderlans (guida della rivista californiana Emigre), progettsti ormai alla testa di grandi imprese quali Erik Spiekermann (Metadesign), designer di culto per le generazioni più giovani come Jonathan Barnbrook. Il manifesto ripete nel titolo e nel tema quello apparso nel 1964, promosso dall’inglese Ken Garland e firmato a sua volta da ventidue progettisti.
First Things First è stato pubblicato in diversi paesi (in Italia da Notizie AIAP), ed ha colto il segno di una situazione evidentemente piena di segnali, in questo senso. Pensiamo solamente a No Logo, di Naomi Klein, che parla delle marche da un punto di vista economico, ma che nel titolo (peraltro, incastonato in un logo disegnato da Bruce Mau) suggerisce immancabilmente a chi si occupa di comunicazione l’equazione marchio = marca. Su un altro piano, l’attività degli enti non profit propone un modello realmente imprenditoriali ma finalizzato a scopi collettivi e sociali. Un modello che sfida l’idea tradizionale di beneficenza (ancora caro al nostro paese) ponendosi in una posizione marketingoriented, con le conseguenze che ne derivano sul piano della comunicazione. E’ curioso poi che sia stata una grande cartiera, Sappi, a proporre un concorso rivolto ai progettisti grafici che ha come risultato quello finanziare immagine o campagne per enti non profit.
In tal situazione, le complicazioni internazionali dall’11 settembre in poi, pongono ulteriori interrogativi, relativi alla qualità e alla correttezza nella industria della comunicazione e al suo impasse nei confronti di avvenimenti gravissimi; accompagnati da questioni di stampo sostanzialmente linguistico, quali la sostanziale deriva di un flusso di immagini che nella reiterazione e nella inevitabile configurazione iconografica finisce per perdere la relazione nei confronti del referente. Così come il terrorismo e la guerra invitano a una risposta in termini sociali e politici, ma anche e spesso emotivi, da parte di chi si occupa di comunicazione.
Se già si era parlato di etica e estetica, la contingenza attuale sembra proporre il binomio fra etica e comunicazione, che riguarda anche le modalità attraverso le quali il progettista propone la sua professionalità. E alla finestra ci sono anche le tematiche della sostenibilità (relativamente al consumo e all’impatto aziendale) del design contemporaneo, che hanno evidenti riflessi sul piano della comunicazione; oltre alla presenza di media ancora più estremi nella tradizionale antinomia, tipica di ogni media, fra maggiore democratizzazione e maggior controllo.
Si tratta di tematiche che peraltro in Italia trova una certa rispondenza nell’eco lasciata, all’interno del mondo dei progettisti italiani, dalla stagione della Pubblica Utilità, che definì a suo tempo molte questioni relative al rapporto fra istituzione e cittadino; sottolineando il ruolo di quest’ultimo in opposizione ala sua funzione di cliente nel mercato delle merci, oggi tristemente evocata anche in questioni pubbliche. Ma il terreno fertile deriva dalla stessa tradizione del design, visto come elemento pedagogico e sociale, nel suo essere destinato a educare il fruitore e migliorarne la vita non solo in tutta la tradizione del Movimento Moderno, ma ancor prima nell’attività politica (quasi contrapposta a quella professionale) dei protagonisti delle Arts and Crafts ottocentesche. Questa nebulosa di spunti necessita di una focalizzazione del rapporto fra dimensione filosofica, situazione storico e attività progettuale: la dimensione etica (e l’etica è una branca della filosofia) deve trovare un punto di vista dell’attuale configurazione del sistema, sul quale inserire una pragmatica disciplinare.
Nessuna soluzione può essere data per scontata, o assunta come definitiva. Ne’ alcuno (o alcuna categoria professionale) può vantare una piena autonomia dai contesti, in questo frangente. Certo è che più di ogni altra la professione del visual designer ha le carte in regola (o forse l’obbligo) per proporre una serie di possibili interpretazioni di questa triangolazione.
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